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Relazione annuale alla Camera dell’Autorità per la protezione dei dati personali. Oltre a quello sull’intelligenza artificiale, allarme per il dilagare dell’odio in Rete

(Da Primaonline)

L’Ai, con i suoi vantaggi, i pericoli e la necessità di regolamentazione, l’odio dilagante sul web, ma anche i rischi legati a una guerra ibrida, e le intercettazioni. Sono alcuni dei temi che il garante della Privacy, Pasquale Stanzione, ha affrontato e discusso nella relazione annuale alla Camera, con il bilancio dell’attività 2023 e le prospettive future.

Con AI più lavoro, ma occhio a diseguaglianze

“Si ritiene che l’intelligenza artificiale potrebbe sostituire, nei prossimi anni, circa 85 milioni di posti di lavoro creandone, tuttavia, 97 milioni di nuovi, sebbene con un rischio di nuove, ulteriori diseguaglianze”, l’avvertimento lanciato, aprendo il suo intervento. “Non si tratta, del resto, di un rischio così peregrino, se si considerano le profonde diseguaglianze che, anche sul terreno del lavoro, il capitalismo digitale ha prodotto, rispetto ai lavoratori ‘invisibili’ della gig economy”.

“Un’impresa su quattro, nel nostro Paese, ha già integrato l’intelligenza artificiale nei propri processi produttivi ed entro un anno – si stima – il 60% delle aziende la utilizzerà nei procedimenti assunzionali”, ha detto ancora a dimostrazione di quanto l’AI sia ormai sia integrata nella “nostra vita privata e pubblica”.

“Circa il 65% dei ragazzi utilizzi oggi l’intelligenza artificiale per svolgere i compiti”. “Due studenti su tre avrebbero preparato l’esame di maturità ricorrendo a Chat Gpt che peraltro, a quanto pare, non sarebbe riuscita a tradurre correttamente il Minosse, o Della legge, attribuito a Platone”, ha ricordato poi.

Rischi nei conflitti

Tra le preoccupazioni per lo sviluppo della nuova tecnologia, Stanzione non ha nascosto anche le implicazioni belliche. Le guerre in atto offrono all’AI “un drammatico terreno di sperimentazione” e rischiano di “amplificare senza limiti la capacità offensiva dei conflitti, sottraendo all’uomo il controllo della violenza” ha spiegato.

“Si ritiene, non a torto, che le armi autonome possano rappresentare la nuova bomba atomica, per gli effetti dirompenti e l’assenza di regole che ne potranno caratterizzare l’utilizzo, tanto da qualificare quello attuale come un nuovo ‘momento Oppenheimer’”.

Un rischio che si aggiunge alla declinazione delle guerre e delle tensioni geopolitiche sul web. La “cognitive warfare”, la guerra cognitiva, una forma di guerra ibrida fondata su attacchi informativi per mezzo di influencer, social media e social network, potrebbe diventare la “nuova guerra fredda”, ha ribadito, citando il monito alla riflessione su questi temi sia del Presidente della Repubblica sia della vicepresidente della Commissione Ue.

Servono regole

L’invito è ad arrivare a una regolamentazione. “La continua espansione ed evoluzione dell’intelligenza artificiale impone dunque di tracciare, e questo è il massimo compito della politica, un limite di sostenibilità, delle colonne d’Ercole da non varcare perché il progresso non divenga, paradossalmente, socialmente regressivo”.

Inevitabile un riferimento anche all’AI Act approvato nei mesi scorsi in Europa. “L’Ai Act, ha detto a propostio del provvedimento, rappresenta, assieme a ciò che fu il Gdpr otto anni fa, il tentativo più avanzato dell’Europa di delineare una strategia antropocentrica di governo della tecnica”.

“Nel promuovere un’innovazione sostenibile sotto il profilo delle garanzie giuridiche, dell’equità sociale, della dignità personale, l’Europa ha, infatti, investito sul terreno del digitale la propria identità come Comunità di diritto, marcando la propria specificità tanto rispetto alla deregulation o alla settorialità dell’approccio americano, quanto rispetto all’autoritarismo sino-coreano”.

Quella dell’Unione europea è stata “la prima disciplina al mondo, di taglio organico e non settoriale, dell’intelligenza artificiale, segnando una primazia che non è, affatto, soltanto cronologica ma è, soprattutto, assiologica”.

Dilaga l’odio digitale

Tornando a parlare della rete più in generale, Stanzione ha parlato del problema – che ha assunto dei toni sempre più grevi – dell’odio online. “La vicenda di Asia, la ragazza insultata in rete perché malata, così come quella, di pochi mesi precedente, della ristoratrice toltasi la vita per non aver retto alla ‘condanna’ dello spietato tribunale di internet, simboleggiano, drammaticamente, le aberrazioni cui può giungere l’odio digitale”.

“Preoccupa l’uso offensivo del web, la diffusione anche tra i giovani di messaggi istigativi, discriminatorii nei confronti, generalmente, di minoranze, delle donne o di chiunque sia percepito come ‘altro-da-noi’, con rivendicazioni identitarie in forma aggressiva”, ha detto. Una vera “degenerazione” dell’uso del web, come nel caso della “diffusione sui social di immagini di stupri commessi da ragazzi, in gruppo, su ragazze, sole”.

“Le interrelazioni tra il web e la violenza sono, infatti, più profonde e ambivalenti di quanto una drammatica contabilità delle loro aberrazioni possa restituire”. La rete mostra infatti, “accanto a innegabili, straordinarie, potenzialità di progresso anche sociale, sempre più un lato oscuro” finendo per trasformare internet non solo nel “teatro” della violenza ma anche, spesso, “un suo fattore propulsivo”. Si pensi, ha ricordato Stanzione, al revenge porn, “rispetto a cui l’indiscriminata pubblicità, lo shaming effect indotti dalla diffusione in rete di immagini intime rendono possibile una forma nuova e del tutto singolare di violenza, appunto digitale”.

Intercettazioni: l’interesse sociale non sia gossip

Toccando temi che riguardano anche l’informazione, Stanzione ha affrontato il tema delle intercettazioni. “Il ddl governativo rafforza sensibilmente le garanzie di riservatezza dei terzi e, per altro verso, circoscrive l’ambito circolatorio dei contenuti captati, a tutela della privacy di tutti i soggetti le cui conversazioni siano acquisite”, ha detto. “Se si limita la pubblicabilità delle intercettazioni ai soli contenuti riprodotti dal giudice in propri provvedimenti, si circoscrive notevolmente il novero dei dati suscettibili di circolazione al di fuori del giudizio, ammettendola soltanto per le informazioni rilevanti a fini processuali”.

“Queste modifiche sottendono, ovviamente, un bilanciamento tra privacy e diritto di (e all’) informazione, la cui definizione è riservata alla discrezionalità del legislatore. Ciò che si può auspicare, anche rispetto alla delega legislativa sul divieto di pubblicazione integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia in fase di indagini, è che si contenga la tendenza a scambiare l’interesse sociale della notizia con il gossip”, ha aggiunto.

“La sfida della democrazia è proprio nel coniugare la pietra angolare del diritto di (e all’) informazione con la dignità personale, di cui la protezione dei dati è peculiare espressione”, ha concluso.

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