Ostacolati, intimiditi, minacciati, assediati dalla politica e dalle fabbriche di fake news, impoveriti nel reddito e nelle prospettive professionali da chiusure di edizioni locali, se non addirittura delle stesse testate, con l’incognita di possibili ulteriori tagli rispetto a quelli che già abitualmente rendono precario il loro lavoro. Dietro le quinte dell’emergenza che stanno raccontando instancabilmente da settimane, i giornalisti italiani, e con loro la libertà di espressione e la democrazia stessa, vivono un periodo di forte stress e preoccupazioni per il futuro.
Se da un lato l’emergenza covid-19 aumenta la necessità di informarsi da parte dell’opinione pubblica, dall’altro aumentano di conseguenza anche la capacità di penetrazione delle “bufale”, delle “mezze verità” strumentalizzate per conclusioni manipolatorie, dei “fate girare”: ora escono anche dai social per trasferirsi sui nostri canali di messaggistica personale. Una invadenza che segna un cambio di passo negli strumenti operativi (gestione di dati strettamente personali come i numeri di telefono) e nelle strategie delle oscure fabbriche dei manipolatori dell’opinione pubblica: il messaggio giratoci in buona fede da un amico di lunga data dà maggiore autorevolezza anche alla “catena” più banale o alla “bufala” di un racconto falso di un personaggio inventato. Fino ad arrivare alla recente doppia fake new di un fatto inesistente fatto girare tramite un falso take dell’agenzia di stampa nazionale più nota, l’Ansa.
Si ripropone il tema, già presente da anni nelle discussioni in vari contesti, ma non ancora dibattuto con l’attenzione che meriterebbe, del “bollino blu” dell’informazione online: identificare con un simbolo, evidente a tutti i visitatori, i siti di informazione affidabili, perché testate giornalistiche, con notizie trattate da professionisti del settore, sottoposti alla disciplina degli organi di controllo della deontologia professionale, con server non allocati in Paesi (che spesso non hanno nulla a che fare con l’ambito territoriale a cui si rivolgono i siti e con la lingua in essi utilizzata) allocati in nazioni dove la legislazione rende impossibile perseguire offesa, diffamazione, revenge porn.
Le task force contro le fake news annunciate nei giorni scorsi dal sottosegretario all’Editoria Andrea Martella e dall’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini non possono che essere viste nell’ottica di interventi, degni di apprezzamento, dettati dall’emergenza, a supporto degli operatori dell’informazione. E’ importante, come ha spiegato il direttore di RaiNews24, Antonio Di Bella, chiamato a coordinare la task force Rai, la considerazione che «questa iniziativa non sostituisce il lavoro di verifica tecnica che c’è già e che tantissimi colleghi e tutte le redazioni già svolgono, piuttosto vuole essere una condivisione di saperi per mettere tutti nella condizione di produrre un’informazione puntuale e supportata da solide basi scientifiche in un momento particolarmente delicato qual è quello attuale».
E’ altrettanto importante che a queste esperienze facciano seguito approfondite riflessioni in grado di tradursi in strumenti operativi: sia interni alla categoria dei giornalisti, con al centro una «condivisione dei saperi» permanente e garanzie deontologiche, sia esterni, con una normativa di garanzia verso i cittadini e sanzioni adeguate per chi crea e chi diffonde fake news.
Come è importante che a chi opera professionalmente nell’informazione siano garantiti gli strumenti di tutela perché possa svolgere il ruolo di colonna portante su cui si regge tutta la struttura democratica di un Paese che voglia dirsi civile. E’ sconcertante il succedersi di fatti preoccupanti, se non addirittura inquietanti, come sta accadendo in questi giorni, con la Federazione nazionale della stampa e l’Associazione della stampa subalpina chiamate a difendere il lavoro di inchiesta di un cronista dalle pesanti minacce del rappresentante del governo di un Paese straniero, che «occupa posizioni di retrovia nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa», perché il giornalista ha “osato” indagare per informare l’opinione pubblica. E che il Consiglio d’Europa debba addirittura richiamare gli Stati membri affinché la pandemia in corso non sia utilizzata «come pretesto per introdurre restrizioni sproporzionate alla libertà di stampa».
Ma oggi, specialmente in un periodo come questo in cui l’informazione sta giocando un ruolo fondamentale per la corretta comprensione di ciò che stiamo vivendo, la libertà di stampa è minacciata anche con una molteplicità di intimidazioni grandi e piccole: dalle querele temerarie degli amministratori locali per mettere a tacere il cronista scomodo, spesso precario, a episodi come quello denunciato da Associazione stampa romana e Sindacato cronisti romani: a un giornalista dell’agenzia France Presse, che stava realizzando un servizio a piazza di Spagna, agenti della polizia locale di Roma Capitale hanno intimato di rimuovere il cavalletto, accusandolo di occupazione abusiva di suolo pubblico sulla base di una disposizione comunale del 2013 voluta, però, per le riprese di produzioni cinematografiche e di spot pubblicitari.
Anche per i tanti episodi come questi l’Italia continua ad arrancare nelle posizioni della classifica mondiale della libertà di stampa di Reporters sans frontières. Ma anche per ciò che sta aggravando, fuori dal palcoscenico sul quale l’opinione pubblica sta seguendo l’incessante lavoro di informazione dei giornalisti italiani sull’emergenza sanitaria in atto, la situazione delle migliaia di cronisti precari, che costituiscono la maggioranza degli operatori professionali dell’informazione italiana.
Stop del mercato pubblicitario (soprattutto per la carta stampata, il settore dell’informazione tradizionalmente più votato all’inchiesta e all’approfondimento), chiusure di edizioni e sedi locali, riduzione degli spazi e dei compensi sono le conseguenze del covid-19 che si stanno ogni giorno scaricando, con sempre maggior peso, sui settori più deboli della professione. Temi che aggiungono al già fitto ordine del giorno dei rinnovati organismi dei lavoratori autonomi della Fnsi.
Ma il post-emergenza non sarà facile neanche per quelli che fino ad oggi siamo abituati a chiamare “i garantiti” (e domani?), per i quali lo smart working da necessità dell’oggi può trasformarsi nel futuro, in assenza di regole certe, in strumento ordinario, con l’isolamento e l’indebolimento della comunità di professionisti che è il cuore e la mente di un’opera collettiva preziosa com’è un giornale.
Non sono temi che possano stare a cuore ai soli giornalisti. Perché nelle tutele dei professionisti dell’informazione e nella libertà di stampa sta la misura della democrazia e, in Italia, la possibilità del popolo di essere concretamente sovrano, come vuole la Costituzione, in quanto correttamente, completamente e liberamente informato. Fare della “vertenza informazione” una battaglia popolare per la democrazia sarà l’impegno che ci attende quando, finita l’emergenza, occorrerà ricostruire il tessuto socio-economico del Paese.
Ha un valore particolare dirci tutto questo oggi, anniversario di uno degli atti liberticidi che hanno caratterizzato la storia non tanto remota dell’Italia: il «Decreto sulla revisione delle stampe» del 1804, come racconta il video di oggi del canale YouTube di “Un giorno in un minuto”.
Giornalista professionista freelance. Dal 1983 collaboratore di testate locali e nazionali dai Castelli Romani per cronaca e sport. Presidente e docente dell’Università Popolare Castelli Romani, Ente terzo autorizzato dal Ministero della Giustizia alla Formazione professionale continua per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti. Consigliere dell’Inpgi e dell’Associazione stampa romana.
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