Una festa del lavoro lontano dai luoghi di lavoro e di incontro fra chi lavora e chi cerca un’occupazione. Un Primo maggio in quarantena, oggi, a causa di quel distanziamento che si continua a definire erroneamente “sociale”, quando è solo “personale”: il Covid-19 non ha di certo interrotto la nostra socialità, che continuiamo a coltivare telematicamente nelle relazioni interpersonali e, chi può, nel lavoro da casa.

Mai come in questi giorni abbiamo sentito che il lavoro ha la stessa qualità che un famoso detto attribuisce alla libertà: è come l’aria, perché se ne sente tutta l’importanza quando manca. Sappiamo bene, però, che il bene essenziale perché la stessa libertà, il lavoro, l’economia e la socialità abbiano un senso è uno e uno solo: la vita. E quella vita, la nostra e quella dei nostri cari, la stiamo tutelando da un nemico che non è visibile, ed è per questo ancor più pericoloso e subdolo.

E’ un Primo maggio che molti trascorreranno nell’attesa dell’annunciato decreto del governo che una volta emanato, si spera nei primi giorni di maggio, dovrà rinnovare (e auspicabilmente anche aumentare) il bonus dei 600 euro prontamente liquidato ad aprile dall’Inpgi 2 a tanti giornalisti freelance e parasubordinati, che hanno visto ridotto il lavoro o addirittura azzerati i loro incassi a causa dell’emergenza sanitaria.

Ma soprattutto ci si augura e ci si impegna con forza perché oggi sia un Primo maggio che, come scrivono i sindacati, riporti il tema del lavoro al centro dell’agenda politica, dalla quale manca da troppi anni, e torni ad essere il collante della società. E ricordando, come facciamo nel videoracconto che segue, il significato della festa del lavoro come testimonianza delle lotte del passato e come valore da tutelare quotidianamente, perché i diritti civili non sono un bene conquistato una volta per sempre e vanno coltivati. Ogni giorno.

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